In una delle case dell’Alpe avvengono numerosi incontri clandestini tra un comitato sindacale, che raccoglie i rappresentanti degli operai delle fabbriche delle vallate biellesi, e una rappresentanza di industriali.
Nel mese di marzo dello stesso anno, un accordo verbale sancisce i rapporti tra imprenditori e maestranze all’interno delle fabbriche. È, per tutti, il Patto della montagna.
L’unicità della realtà biellese, in cui è forte la solidarietà all’interno della comunità a difesa del territorio, aveva fatto confluire allo stesso tavolo le istanze di due parti sociali che condivisero ideologie e bisogni. Di fatto, stipularono un contratto, il contratto del Quadretto formalmente sottoscritto, a Liberazione avvenuta, con una cerimonia solenne.
Prevedeva aumenti salariali e la garanzia del salario anche quando l’attività doveva essere sospesa per ragioni eccezionali; parità di retribuzione tra uomo e donna e una riduzione delle ore di lavoro, che passarono da 48 a 40.
Il suo contenuto fu applicato a tutte le categorie nelle aziende biellesi e dopo la Liberazione continuò a esistere come contratto integrativo.
Si può dire che il rapporto di fiducia tra gli uomini produsse risultati positivi per tutti.
Con gli scioperi del dicembre ’43 e del gennaio ’44, gli operai chiesero garanzie per il lavoro e il reperimento di alcuni alimenti introvabili. Gli imprenditori, da parte loro, sostennero la popolazione nelle valli biellesi con gli spacci aziendali. E non solo: sostennero, con un sistema di tassazione, anche le forze partigiane, che erano composte per lo più da giovani operai di fabbrica alleati delle maestranze a favore delle rivendicazioni.
Argante Bocchio, oggi, ricorda le vicende vissute in prima persona come operaio e come partigiano.
Testo di Simonetta Coldesina